26.11.2015 – Il titolo ci riporta mentalmente a quell’interpretazione memorabile di Jack Nicholson nell’omonimo film di Milos Forman del 1975, con la sceneggiatura di Dale Wasserman tratta dal romanzo di Ken Kesey, ma siamo a teatro per la prosa della stagione teatrale di Bari 2015/16 del Teatro Pubblico Pugliese.
Per tutta la non breve durata dello spettacolo strascichi filmici persisteranno per quel pubblico che ha avuto la fortuna di vedere il film e di partecipare, nelle serate di domenica e lunedì scorsi, presso il Teatro Petruzzelli all’omonima rappresentazione teatrale del cui adattamento testuale si è occupato lo scrittore Maurizio De Giovanni, per la regia firmata dal famoso attore Alessandro Gasmann.
Nella pièce teatrale il periodo temporale è quello post-riforma Basaglia, (più nota come legge che ha disposto la chiusura di quei tristissimi spazi immobiliari volgarmente conosciuti come manicomi), o per essere più precisi è il periodo dei mondiali di calcio di Spagna del 1982.
E’ ambientata non in un manicomio, ma nell’ospedale psichiatrico di Aversa come chiaramente rivelato dalle note linguistiche partenopee di Dario, interpretato dal bravo Daniele Russo, dove però, sebbene il trattamento terapeutico in simili strutture non sia più obbligatorio, lo stesso, insieme agli altri “pazienti acuti”/attori, continuano, ivi, ad essere i soggetti di quelle dinamiche di opposizione alle regole ed al potere nell’applicazione dei più severi trattamenti di terapia psichiatrica che vanno dalla somministrazione di farmaci all’elettroshock e alla lobotomia: in misura direttamente proporzionale alla gravità ed incisività dell’opposizione da parte dei malati veniva decisa la conseguenziale terapia.
Tutto ciò è stato vissuto anche dal protagonista, spavaldo ed irriverente delinquente, che per sfuggire all’espiazione della pena in carcere, in alternativa, sceglie di stare presso la struttura psichiatrica pensando di ritornare in libertà nel minor tempo possibile, fingendosi appunto “pazzariello”.
Ma è in quel posto, ove vigono rigide regole di vita imposte forzosamente dall’isterica suor Lucia, che il protagonista, fomenta i suoi compagni, pazienti acuti, ad esprimere opposizione al rigido trattamento loro riservato in un tentativo di inconsapevole processo di riappropriazione della propria libertà di coscienza e dignità. Rifiuta di piegarsi a quel sistema, fino a morirne, sia pure per mano dell’amico catatonico Ramon. Ovviamente dopo aver subito elettroshock, ma prima di subire la lobotomia. Il gigante Ramon, così, lo sopprime rendendosi conto che quello stesso amico che era riuscito in altro modo e con altri metodi a fargli riacquistare la parola è ormai definitivamente privo di quella dignità che dovrebbe appartenere ad ogni creatura chiamata UOMO. Rimane incomprensibile, ingiustificabile e suggestionabile, la scelta di utilizzare la statua della Madonna presente nella sala dove si ritrovavano i “pazzarielli”, per infrangere vigorosamente la vetrata di una finestra con la tecnica della videografia (proiezioni su telo trasparente posto di fronte al pubblico firmate da Marco Schiavoni). Indubbiamente trovata scenica d’effetto per il concetto di riconquista della libertà.
La scenografia grigia e triste, ma comunque bella, si sviluppa su due livelli dove le finestre opacizzate delle stanze ove erano internati i pazienti pericolosi e cronici si affacciavano sulla sala del piano sottostante dedicato ai pazienti acuti e dove per tutto lo spettacolo, inutilmente lungo, si è svolto lo spaccato di vita dell’ospedale psichiatrico ancora di molto lontano dagli sviluppi scientificamente più evoluti della terapia psichiatrica basagliana e perciò volutamente denunciato dal regista. A sottolineare la gravità di tanti episodi di quella vita le musiche originali di Pivio & Aldo De Scalzi. Ottima scelta e realizzazione di videografie che hanno alleggerito la pesantezza del tema trattato sintetizzando scene che diversamente avrebbero dovuto essere sacrificate se non rinunciate nella scenografia principale.
Spettacolo complessivamente godibile anche per sobrietà e bravura attoriale.
Emilia Brescia