10.11.2015 – L’appena avviata stagione di Teatri di Bari, che costituiti in Consorzio hanno avuto il riconoscimento ministeriale di unico Teatro di Rilevante Interesse Culturale al Sud, prosegue la sua ricca programmazione. Mentre nello spazio scenico del teatro Abeliano, il 6 e 7 novembre andava in scena NAMUR (testo di Antonio Tarantino) con Teresa Ludovico, anche regista, e Roberto Corradino, la cui recensione è già stata pubblicata al debutto dello scorso anno sul presente web magazine, in quello del Kismet veniva proposto “MA”.
Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia teatrale indipendente STABILEMOBILE di Antonio Latella, è stato realizzato con la creatività di tre affermati artisti di riconosciuta bravura e di spicco nel panorama del teatro italiano ed internazionale: Linda Dalisi per la drammaturgia, Antonio Latella per la regia e Candida Nieri per l’interpretazione, tutti già vincitori di prestigiosi premi nell’ambito delle rispettive attività.
Il titolo della pièce è molto discreto: una sola sillaba per raccontare la figura della madre per quella più complessa, e da ultimo spesso abusata, dell’artista Pier Paolo Pasolini.
Candida Nieri, in una rappresentazione di tipo performativo, prima di dar voce al testo ci attende già al centro della scarna scena, di profilo, nelle sue enormi chapliniane ed immobilizzanti scarpe nere, e dopo un eloquente silenzio, comincia a fonare con notevole vis drammatica la prima sillaba della parola mamma. Presto una struggente versione di Stabat Mater fa partecipe lo spettatore dello stato di dolore della madre pasoliniana, personaggio reso vivo con l’intensa interpretazione di Candida Nieri che quasi come un flusso di coscienza dalla sua bocca, fa venir fuori parole della vita e delle opere di Pasolini, talvolta anche attraverso le voci registrate dello stesso eclettico artista, quali cordone ombelicale delle due figure madre/figlio.
E mentre la madre è addolorata e si addolora nell’incapacità di dire addio al figlio “rifiutato”(le enormi scarpe rendono benissimo tale immobilismo), quest’ultimo è tanto più vincolato al suo creato letterario. Il cordone ombelicale per l’artista è la poesia nonostante il rifiuto sociale della stessa e della sua poetica. La figura della madre biologica diventa metafora della madre letteraria da cui l’artista subirà il triste e tragico distacco: quest’ultimo aspetto, nell’azione scenica, viene tradotto dall’attrice con il deciso distacco del cavo del microfono quale segno che la poesia dell’artista non avrebbe più visto né luce, né aria, né parole né suoni.
La pièce monologica si chiude con un piccolo occhio di bue che illumina un paio di scarpette primi passi forse in attesa di essere calzate per iniziare un nuovo cammino allontanandosi da quel luogo abitato dall’individualismo fortemente denunciato dal rimpianto Pier Paolo Pasolini.
Trattasi di pièce che ispirandosi alla figura della madre ha ben evidenziato il combattimento doloroso dell’artista che aveva scelto le parole per comunicare l’incomunicabile.
Emilia Brescia