18.12.2017 – E’ stata inaugurata sabato 16 dicembre 2017 e sarà visitabile fino al 24 marzo 2018, la mostra personale di Miroslav Tichý, presso la galleria Doppelgaenger, a Bari.
Miroslav Tichý fu artista e fotografo di straordinaria eleganza, vissuto come un clochard, che catturava le sue immagini con macchine fotografiche che costruiva da solo usando scarti e materiali poverissimi.
In mostra ventitré opere, nei piccoli e casuali formati sui quali abitualmente stampava l’artista, accompagnate da una video intervista in cui Tichý svela il proprio mondo di artista indipendente.
Il documentario è diretto dall’artista e psichiatra ceco-svizzero Roman Buxbaum, per molto tempo l’unica persona ad avere avuto accesso alle splendide immagini catturate dall’artista: un racconto della sua vita e del suo lavoro il cui titolo è tratto dalla risposta che lo stesso Tichý soleva dare alla gente quando gli veniva chiesto se fosse un pittore, un fotografo o un filosofo: “Io sono un Tarzan in pensione”.
I protagonisti delle opere selezionate per questa mostra sono quasi privi di fascino, sorpresi su sfondi di una raggelante genericità.
Probabile che Tichý non abbia mai voluto vedere più da vicino i suoi soggetti: la sua aspirazione è quella di distinguere se stesso dalle opere, ma è proprio nel momento in cui si distacca dalla volontà di essere un artista che afferra in modo misterioso e fulminante la realtà.
Lo sguardo di Tichý sembra dissolvere le sue donne e i suoi ragazzi che si rivelano in maniera evanescente, graffiati a loro insaputa e quindi autenticamente modelli perfetti.
Queste dinamiche di “furto” coincidono con l’esplorazione dell’anima di ognuno di loro, ogni immagine seduce con leggerezza e con una straordinaria quanto atipica organizzazione delle composizioni.
Gli involontari modelli sono ripresi nella loro interezza svelata o nella loro sporca frammentarietà artistica, sono composizioni che rievocano vite intere in un solo frammento, parlano di cose più profonde e intangibili, quasi un esercizio paradossale in cui Tichý fotografa e osserva l’altro per parlare a se stesso e di se stesso.
Corpi, visi, ma mai immagini di sguardi diretti, scatti rubati che sono apparizioni eloquenti perché tutto è ripreso con voyeurismo delicato e silenzioso; tutto sembra immergersi nelle atmosfere degli sfondi, con accenti mai troppo marcati, anzi in cifre in cui il non detto, il non visto, prevale senza mai uno strappo.
Tichý riesce a fotografare la rigidità dei colori tipici di quegli anni, gli anni in cui Berlino era ancora divisa in due.
Nel rivedere oggi insieme le ventitré foto in mostra si comprende la grandezza di un’opera in cui l’umanità è costretta a fare i conti con la più preziosa delle proprie qualità: la dignità dell’essere semplicemente se stessi.
Dal 1960 al 1985 Miroslav Tichý realizzò di nascosto migliaia di foto di donne nella sua città natale, Kyjov, con macchine fotografiche costruite artigianalmente con tubi di cartone, lattine e altri materiali. La maggior parte dei suoi soggetti non erano a conoscenza di essere fotografati perché non si rendevano conto che la parodia della macchina fotografica che l’artista portava con sé era reale.
Le sue foto in soft-focus risultano oblique, macchiate e mal stampate. Viziate da un lato dai limiti della sua attrezzatura primitiva e dall’altro da una serie di volute sbavature in fase di sviluppo: sono il frutto di una ricerca volta all’inseguimento dell’imperfezione poetica.
“Il tuo pensiero è troppo astratto! la fotografia è qualcosa di concreto. La fotografia è percezione, sono gli occhi che intravedi e succede così velocemente che potresti non vedere proprio nulla! Per raggiungere questo, ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica! […] Il tempo di una mia passeggiata determina quello che voglio fotografare…Io sono un profeta della decadenza e un pioniere del caos.”
Miroslav Tichý nasce il 20 novembre del 1926 a Kyjov, Repubblica Ceca.
Appassionato di pittura, si diploma all’Accademia d’Arte di Praga nei primi anni ’40. L’avvento al potere dei comunisti nel 1948 cambia il corso della sua vita perché il regime lo identifica come un dissidente. Arrestato negli anni ’60 e rinchiuso in carcere e in cliniche psichiatriche, Tichý si emargina da una società che contesta furiosamente e torna a vivere nella sua città natale da clochard, in una baracca di legno, tirandosi fuori dal giogo sociale. Fu considerato folle fino alla sua morte. Le sue fotografie rimasero sconosciute fino a quando non fu scoperto, alla fine degli anni ’80, da Roman Buxbaum, e introdotto al pubblico dell’arte da Harald Szeeman che gli organizzò una mostra alla “Biennale di Arte Contemporanea” di Siviglia nel 2004. La mostra di Siviglia ha lanciato l’inatteso successo internazionale delle fotografie di Tichý, culminando in mostre al Kunsthaus Zürich (2005), al Centre Pompidou di Parigi (2008) e all’International Center of Photography di New York 2010. Le numerose pubblicazioni e monografie pubblicate negli ultimi anni in Europa e in America testimoniano anche l’interesse diffuso nei lavori di Tichý.
Fin dalla sua scoperta, Tichý non ha mai frequentato una mostra, non ha mai accettato il denaro raccolto dalla vendita delle foto, ha continuato a vivere nella stessa casa e ad essere un outsider per il resto della sua vita.
Muore il 12 aprile 2011a Kyjov.
La mostra è resa possibile grazie alla collaborazione di “Foundation Tichý Ocean” Praga.