12.06.2023 – Vent’anni fa nacque a Bari il Teatro delle Bambole, con la direzione artistica di Andrea Cramarossa e l’attiva collaborazione di Federico Gobbi, assieme a molti altri artisti che negli anni si sono affiancati al gruppo, dando lustro ad un terremo fertile che ha prodotto e produce fiori profumati e frutti dolcissimi.
Una metafora che mette in primo piano la scelta etica del Teatro delle Bambole, convogliata in particolare nel Teatro per ragazzi, anche in collaborazione con il WWF, al fine di sensibilizzare il pubblico alle tematiche ambientali e ai danni che l’uomo arreca con il suo operato.
Il Teatro delle Bambole è nato con l’intento di dare voce all’Arte attraverso lo studio e lo sviluppo, in mutamento continuo, di un Nuovo Metodo di Approccio all’Arte Drammatica che prevede l’uso e la conoscenza del suono in applicazione al canto e al parlato.
Alla base della produzione artistica ci sono dunque uno studio profondo, una formazione continua e il desiderio di incontrare la vita nelle persone e farne ardente dialogo.
La produzione artistica del TdB è custodita dalla Fondazione Morra – Istituto di Scienze delle Comunicazioni Visive ed è consultabile, anche digitalmente, presso “Casa Morra – Archivio d’Arte Contemporanea” di Napoli come Andrea Cramarossa – Teatro delle Bambole.
Abbiamo voluto festeggiare assieme al Teatro delle Bambole questi vent’anni facendo due chiacchiere con Andrea Cramarossa, un dono emozionante per noi e per i nostri lettori.
[SE CADERE IMPRIGIONARE AMO – Suggestioni dal respiro di una crisalide (La lingua degli insetti – Cofanetto 5: Blattidae e Lepidotteri). Foto di Massimo Demelas]
Come è successo che sia nata la compagnia Teatro delle Bambole a Bari.
Innanzitutto voglio ringraziarti, Manuela, e con te la Redazione di “Puglia Eccellente”, per lo spazio che dedicate al Teatro delle Bambole. Non è scontato essere ascoltati e poter parlare dei propri processi artistici.
Il Teatro delle Bambole nacque nel 2003 in risposta ad una esigenza del tutto personale al mio continuo “girovagare” nelle compagnie teatrali d’Italia. Ero un po’ stanco di dover continuamente cambiare da una compagnia all’altra e da un regista all’altro con un gruppo ogni volta differente.
Pur arricchendomi, ho capito che era possibile cambiare punto di vista restando fermi ed ho iniziato seriamente a cercare di capire l’arte e di capire la vita, la mia vita, e a distinguerne il senso. Ecco, il Teatro delle Bambole è stato, per me, un punto fermo, è ciò che chiamo “casa madre”, poiché è luogo che nasce dal centro del mio corpo che è, appunto, la mia casa.
Il mio lavoro si sviluppa enormemente dalla centralità del corpo. La mente è un accessorio secondario. E come tale è il mio corpo in quanto fatto corporale, tale è il corpo degli attori e delle attrici che hanno fatto parte, fugacemente, del Teatro delle Bambole. I corpi sentono alla stessa maniera; è la nostra mente a creare e determinare disagi e conflitti.
Nella purezza del corpo io ritrovo l’immensità dell’essere. Non parlo appositamente di “bellezza” poiché, essa, è altra cosa.
Dunque, decisi di fondare il Teatro delle Bambole, per una questione fondamentalmente artistica, necessariamente artistica, che potesse distaccarsi dai percorsi fino ad allora seguiti.[IL FIORE DEL MIO GENET – Spettacolo itinerante tra i bassifondi dell’anima (La lingua degli insetti – Cofanetto 6: Farfalle). Foto di Massimo Demelas.]
La ricerca è colonna portante della produzione del TdB. Quanto è durata la ricerca prima di approdare alla messa in scena.
I primi cinque anni sono stati di ricerca pura, ossia non siamo andati in scena, ma abbiamo “solo” studiato e ricercato, sperimentato. Sono stati anni magnifici, dove ho potuto praticare per mio conto quanto appreso dal Teatro delle Orge e dei Misteri di Hermann Nitsch e dal Metodo Funzionale della Voce di Gisela Rhomert, due grandi e importanti percorsi formativi che ho intrapreso in passato e devo molto a questi due Maestri. In quegli anni non mi sono mai posto il problema di dover mostrare qualcosa al pubblico e, questo fatto così inedito, mi ha consentito, tra le altre cose e paradossalmente, di approfondire la figura dello spettatore, creando migliori e più cospicue traiettorie e ingressi nella partecipazione volitiva dell’evento spettacolare per suo conto.
Abbiamo iniziato a mostrare i nostri lavori al pubblico quando ho inserito nel processo artistico il concetto di “festa”. Questa cosa qui è, per me, la messa in scena. Una festa. Spesso apocalittica. Da fine del mondo.
Le durate dei progetti di ricerca cambiano a seconda dei processi artistici in atto. Sono, in genere, molto lunghi e intervallati da un periodo che chiamo “la terra di mezzo”. Si va da un minimo di tre anni a un massimo di otto anni.
[FALSE HAMLET – Opera teatrale in Fa maggiore (La lingua degli insetti – Cofanetto 7: Lampyridae). Foto di Maria Panza.]
Come si colloca il lavoro drammaturgico con l’attività di ricerca?
È un lavoro molto complesso quello della drammaturgia. Per me, la scrittura, corrisponde all’abisso dell’anima. Entrare o comunque vedere questo abisso è fondamentale se si vuol fare letteratura. Non amo molto “comandare” o guidare il mio scrivere; preferisco il flusso di coscienza.
Al contrario, non amo molto nemmeno la libertà nello scrivere e nell’arte in genere. Penso che l’idea di libertà sia anche un’idea fraintesa di libertà e, spessissimo, si traduce con il voler fare ciò che ci pare e piace, perché “l’artista è libero per antonomasia”.
Credo che nell’arte sia impossibile questo principio poiché ritengo sia falso e che sia l’ennesimo raccontino che ci facciamo per giustificare le nostre mancanze e, invece, amo instillare nuovi paradigmi in merito all’ascolto e alla disciplina, al sentire e al rispetto di sé e degli altri.
Viviamo in un’epoca talmente frammentaria e in un magma continuamente desacralizzato che a malapena riusciamo a renderci conto di quanto e come distruggiamo mentre costruiamo.
Ormai, non distruggiamo più dopo aver costruito ma nel mentre. E questo atteggiamento ha a che fare con l’ego, ossia crediamo così fermamente di essere nel “giusto e nel bene” e di aver assimilato tutto l’assimilabile che ci dimentichiamo che tali principi sono irreali e non contemplano l’errore, fondamentale elemento di crescita nei percorsi di ricerca.
Così, tendiamo all’omologazione, all’omogeneità dell’arte che non si pone più come
questione, nel senso della vexata quaestio di San Tommaso, all’interno di una realtà, ma come specchio della realtà stessa, poiché l’ego ama specchiarsi.
Così, vedo molti performer cadere in questa tentazione, malamente, vanificando il loro percorso di crescita che diviene solo una autocelebrazione e non più celebrazione dell’arte.
Ecco, la mia drammaturgia percorre questo universo scabroso affinché possa essere interrogazione per il performer e per lo spettatore.
[MEDEA – Sintesi per quattro respiri (La lingua degli insetti – Cofanetto 8: Ditteri). Foto di Maria Panza]
Come si caratterizza oggi l’attività del TdB?
L’attività è sempre la stessa da vent’anni ossia è di ricerca. Nella ripetizione io trovo molto amore della liturgia; le basi su cui si fonda il nostro manifesto non sono mutate. Ciò che è cambiato, negli anni, è la capacità di ascolto e la maniera di sentire il mondo, un approccio più indeterminato al circostante.
Qual è il tuo rapporto con la Puglia e quanto il nostro territorio ha influito sul vostro percorso teatrale.
Personalmente non posso affermare che il territorio pugliese abbia minimamente influito sul mio percorso teatrale a livello di processo artistico. Probabilmente ha più influito concretamente, con le mille difficoltà incontrate nel portare avanti processi artistici peculiari e unici, ma credo che queste difficoltà siano un po’ diffuse su tutto il territorio nazionale. Diversamente, ho molti ricordi legati a questa terra di Puglia, essendo io pugliese, ma sono ricordi personali, della mia vita, quindi è tutt’altro discorso.
[PFERD PERSON – L’insostituibile frenesia del verbo (La lingua degli insetti | Epilogo – Cofanetto 9: Cimicidae”). Foto di Andrea Cramarossa]
Ti piacerebbe dire qualcosa ai lettori/spettatori e a chi volesse accostarsi alla formazione teatrale?
Ai lettori e agli spettatori mi rivolgerei in termini di gratitudine, se hanno letto finora quanto scritto, perché riferito al Teatro delle Bambole, oppure se hanno voluto assistere ai nostri spettacoli, quindi, li ringrazierei per questo. Allo stesso modo, però, li inviterei ad assumere una responsabilità maggiore nell’approcciarsi al teatro come luogo sacro effettivo e non figurato, poiché certi comportamenti degli spettatori/lettori rendono l’arte inutile.
La stessa desacralizzazione viene profusa dagli artisti stessi quando non rispettano la propria arte. Lo diceva Bachtin e non a caso. Chissà cosa direbbe oggi?
Per quanto riguarda la formazione, direi che è importante schiarirsi le idee, capire cosa si vuol fare effettivamente di quest’arte e perché ci si vuol muovere nell’arte drammatica e non in quella tersicorea, ad esempio.
Dico questo perché per me è stato importantissimo comprendere la mia
strada anche se ci sono voluti anni e anni prima di capirlo davvero e anche molti errori. Poi, bisogna anche affidarsi all’istinto e provare e sperimentare quanto più possibile e senza drammi, è il caso di dirlo!, se qualcosa va storto, se sorgono equivoci. Io tengo molti workshop e laboratori e da molti anni.
Ho anche insegnato in Accademie Nazionali di Teatro. I miei percorsi non sono fini a sé stessi ma, al contrario, seguono sempre una logica: sono paradigmi, sono parabole. Dopo tutti questi anni posso affermare che coloro che si avvicinano al teatro sono radicalmente trasformati; si tratta di persone istruite, che sanno molte cose, ma non sanno nulla di sé stesse, proprio nulla.
Oppure di persone ignoranti, che pensano al teatro, ancora?, come a un divertimento e vogliono solo passare così una parte del loro tempo. Oppure, persone che vogliono fare questo mestiere per davvero ma non sono mai andate a teatro in vita loro come spettatori. Insomma, mi ritrovo, oggi, a dover confrontarmi più con carenze emotive e a dover trattare gli adulti come adolescenti che a poter formare artisticamente qualcuno, qualcuno che ami veramente l’arte e il teatro, intendo.
È un po’ disarmante, anche perché la durata di ascolto è scesa ai minimi storici. Ovviamente ho generalizzato per poter evidenziare una tendenza; esistono, per fortuna, delle splendide eccezioni. E, poi, c’è l’ego, che è diventato un vero e proprio mostro contro cui combattere.
Vedi, Manuela, nel nostro ambiente teatrale non esisterà mai un “noi”, così come lo intendeva Martin Buber, poiché la tendenza a vedere l’altro da sé come fenomeno del proprio io è troppo gratificante per rinunciarvi.
[IFIGENIA | SUA FIGLIA – Liberamente ispirato a “Ifigenia in Aulide” e (in sospensione) “Ifigenia in Tauride” di Euripide. Foto di Roberta Gennaro]
Il pubblico è curioso di conoscere quali saranno i prossimi spettacoli.
Stiamo lavorando a due progetti di ricerca specifici. Uno sul mito di Edipo, iniziato due anni fa e che tradurrò sicuramente in più fatti artistici. E l’altro su tutti quei processi, perigliosi, che dalla letteratura portano al teatro.
Qual è nell’ambito della produzione artistica TdB il lavoro a cui sei più affezionato e qual è lo spettacolo cui hai partecipato come spettatore che ti ha segnato artisticamente e personalmente?
Dei nostri spettacoli, non saprei. Non vorrei dire. In un certo senso, li ho amati tutti allo stesso modo. Ho amato molto il progetto di ricerca “La lingua degli insetti”. Come spettatore ricordo una meravigliosa regia di Peter Brook per una messa in scena ispirata al carteggio tra Cechov e Olga Knipper, con Michel Piccoli. Anche una “Pentesilea” per la regia si Peter Stein, con Maddalena Crippa. “Kohlhaass” con Marco Baliani e “I giganti della montagna” di Pirandello con la regia di Leo de Bernardinis. “La guardia alla luna” di Bontempelli con la regia di Elvira Maizzani.
E, poi, tutto il teatro di Manfredini, in particolare la sua versione di “Amleto” e, naturalmente, “Cinema Cielo”. Ho amato molto anche i lavori di Roberto Latini; il suo “Cantico dei Cantici” è stupendo. Trovo che i lavori teatrali di Romeo Castellucci e di Dimitris Papaioannou siano assolutamente commoventi.
[LA MITE – Dall’omonimo racconto di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Foto di Gabriele De Dominicis]
Dove e quando festeggeremo con “tarallucci e vino” i vent’anni del TdB?
Il 9 e il 10 settembre di quest’anno, quando riporteremo in scena “La Mite” di Dostoevskji alla Vallisa di Bari, con Federico Gobbi in scena e la mia regia, poiché settembre è il mese di quel lontano 2003 in cui è nato il Teatro delle Bambole. Probabilmente, nel foyer della Vallisa, il pubblico troverà i tarallucci e del buon vino rigorosamente rosato.
Inoltre, stiamo organizzando una serata per la proiezione dei lavori cinematografici, tutti cortometraggi d’arte, autoriali, compreso “Borges”, che tanti riconoscimenti sta ottenendo ultimamente in tutto il mondo.
Ringrazio di cuore Andrea Cramarossa per aver trascorso del buon tempo, per noi preziosissimo, in compagnia di Puglia Eccellente e, in attesa dei festeggiamenti dal vivo, chiudiamo l’articolo con l’elenco dei premi che il cortometraggio Borges ha ricevuto proprio negli ultimi giorni.
Una meravigliosa soddisfazione che condividiamo con piacere con il Teatro delle Bambole.
Kodaikanal Film Festival 2023 (INDIA)
– Best International Short Film;
– Best Documentary Short Film;
– Best Europe Short Film.
Taiwan International Short Film Festival 2023
– Best International Short Film;
– Best Documentary Short Film;
– Best Experimental Short Film.
Tanzania International Film Festival 2023 (INDIA)
– Best International Short Film.
Poombukar Indipendent Film Festival 2023 (INDIA)
– Best Documentary Short Film.
Rohip International Film Festival 2023
– Best International Short Film;
– Best Europe Short Film;
– Best Documentary Short Film
Manuela Bellomo