29.03.2018 – Proseguiamo con il terzo messaggio per “La Giornata Mondiale del Teatro”, istituita a Parigi nel 1962 dall’International Theatre Institute (ITI) dell’UNESCO, da una personalità della Cultura Mondiale per testimoniare le riflessioni vive sul tema del Teatro e della Cultura della Pace.
Quest’anno, in occasione del 70° ANNIVERSARIO dell’ITI i messaggi sono cinque, uno per ogni area geografica del mondo:
– Simon Mc Burney (Gran Bretagna – Europa)
– Sabina Berman (Messico – Americhe)
– Were Were Liking (Costa d’Avorio – Africa)
– Ram Gopal Bajaj (India – Asia e Pacifico)
– Maya Zbib (Libano – Paesi Arabi)
Il messaggio di Were Were Liking (Costa d’Avorio), artista multidisciplinare.
“Un giorno, un essere umano decise di porsi delle domande davanti a uno specchio (un pubblico), di inventarsi delle risposte e, di fronte allo stesso specchio, (il suo pubblico) di fare autocritica, di prendere in giro le sue stesse domande e risposte,
di riderne e di piangerne, comunque, e alla fine, di salutare e benedire il suo specchio (il suo Pubblico), per avergli dato questo momento di dispetto e tregua,
allora s’inchina e lo ringrazia per mostrargli gratitudine e rispetto…
Nel profondo, era alla ricerca di pace: pace con se stesso e con il suo specchio.
Stava facendo teatro…
Quel giorno, parlava…
disprezzando i suoi punti deboli, le sue contraddizioni e le sue deformazioni,
condannando, attraverso mimica e contorsioni, le sue meschinerie, che hanno infangato la sua umanità, i suoi inganni, che avevano portato cataclismi.
Parlava a se stesso…
Ammirandosi nei suoi scatti crescenti, nelle sue aspirazioni alla grandezza, alla bellezza, ad un essere migliore, ad un mondo migliore, che avrebbe costruito con i propri pensieri, che avrebbe potuto forgiare con le proprie mani,.
Se lui, insieme al suo riflesso nello specchio, lo avesse voluto, disse a se stesso,
Se lui e il suo specchio ne condividessero il desiderio…
Ma lui lo sa: stava facendo una Rappresentazione una derisione, senza dubbio, un’illusione, ma anche, certamente, un’azione mentale, una costruzione, una ri-creazione del mondo: stava facendo teatro…
Anche se sabotava tutte le speranze
attraverso le sue parole e i suoi gesti accusatori, era deciso a credere
che tutto si sarebbe compiuto in una sola sera con i suoi sguardi folli,
con le sue parole dolci, con i suoi sorrisi maliziosi, con il suo buon umore,
con le sue parole che, offensive o cullanti, avrebbero compiuto l’intervento chirurgico per miracolo. Sì, stava facendo teatro.
E, in generale, da noi in Africa, specialmente nella zona del Kamite (1) da cui provengo, prendiamo in giro tutto anche noi stessi: ridiamo anche nel lutto quando piangiamo, battiamo la terra, quando ci fa arrabbiare, con il Gbégbé (2) o il Bikoutsi (3) intagliamo Maschere paurose, Glaé (4), Wabele (5) o Poniugo (6), per dare forma ai Principi Assoluti che ci impongono la ciclicità e i tempi. E i burattini, che, come noi, finiscono per plasmare i loro creatori e, soggiogare i loro manipolatori.
Concepiamo dei rituali in cui la parola, ritmicamente cadenzata da canzoni e respiri, avanza alla conquista del sacro, incitando danze come fossero trance,
incantesimi e richiami alla devozione, ma anche, e soprattutto, scoppi di risate
per celebrare la gioia di vivere che nemmeno secoli di schiavitù e colonizzazioni,
di razzismo e discriminazioni, né eternità di indicibili atrocità hanno potuto soffocare o schiacciare. Dalla nostra anima di Padre e Madre dell’Umanità,
in Africa, come in qualsiasi parte del mondo, facciamo teatro…
E in quest’anno speciale dedicato all’ITI (Organizzazione Mondiale per le Arti Performative), sono particolarmente felice ed onorata di rappresentare il nostro continente per portare il suo messaggio di pace.
Il Messaggio di Pace del Teatro; perché questo continente, di cui non molto tempo fa
fu detto che il mondo poteva farne a meno, senza che nessuno avvertisse malessere o mancanza, è stato di nuovo riconosciuto nel suo ruolo primordiale
di Padre e Madre dell’Umanità e il mondo intero ci si sta riversando…
Perché tutti sperano sempre di trovare la pace nelle braccia dei propri genitori, non è vero? E come tale, il nostro teatro più che mai, riunisce
e impegna tutti gli umani, specialmente tutti coloro che condividono il pensiero, la parola e l’azione teatrale, ad avere maggiore rispetto per se stessi e per gli altri,
favorendo i migliori valori umanistici, nella speranza di riconquistare una migliore umanità in ciascuno: quella che fa rinascere intelligenza e comprensione,
attraverso questa parte delle culture umane, tra le più efficaci, quella che cancella tutti i confini: il teatro…
Una delle più generose, perché parla tutte le lingue, coinvolge tutte le civiltà, riflette tutti gli ideali ed esprime una profonda unità di tutti gli uomini che,
nonostante tutte le contrapposizioni, cercano soprattutto di conoscersi meglio
e di amarsi meglio, in pace e in tranquillità quando la rappresentazione diventa partecipazione, ricordandoci il dovere di un’azione che ci impone il potere del teatro di far ridere e piangere tutti, insieme, diminuendo la loro ignoranza, aumentando la loro conoscenza, affinché l’uomo torni ad essere la più grande ricchezza dell’uomo.
Il nostro teatro si propone, essenzialmente, di riesaminare e rivalutare tutti questi principi umanistici, tutte queste grandi virtù, tutte queste idee di pace e amicizia tra i popoli, così tanto sostenute dall’UNESCO, per reincarnarle nelle scene che creiamo oggi, in modo tale che queste stesse idee e questi stessi principi diventino un bisogno essenziale e un pensiero profondo, prima di tutto, dei creatori di teatro,
che potranno così condividerli meglio con il loro pubblico.
Ecco perché la nostra ultima creazione teatrale, intitolata “L’Arbre Dieu”, ripetendo i consigli di Kindack1 (7) Ngo Biyong Bi Kuban2 (8), nostra Maestra, dice:
“Dio è come un Grande Albero” di cui si riesce a percepire un solo aspetto alla volta,
in base all’angolo da cui viene osservato: chiunque sorvoli l’albero, percepirà soltanto il fogliame gli eventuali frutti o fiori stagionali; chiunque viva nel sottosuolo, ne saprà di più delle sue radici; quelli che vi si appoggeranno all’albero lo riconosceranno, sentendolo dietro la schiena; quelli provenienti da qualsiasi punto cardinale, vedranno aspetti che quelli che sono dall’altra parte non necessariamente vedranno; alcuni, quelli privilegiati, percepiranno il segreto
tra la corteccia e la polpa del legno; ed altri ancora, la scienza intima custodita nel midollo dell’albero; ma, qualunque sia la superficialità o la profondità della percezione di ciascuno, nessuno sarà mai posizionato in un’angolazione dalla quale
sia possibile percepire tutti questi aspetti nello stesso tempo, a meno che non ci si trasformi in questo stesso albero divino! Ma allora, siamo ancora umani?
Che tutti i teatri del mondo si tollerino e accettino reciprocamente, per meglio servire lo scopo globale dell’ITI, affinché, in questo suo 70° anniversario,
ci sia più Pace nel mondo con una forte partecipazione del Teatro…”
(1) Kamite, abitante di Kamita, la “Terra dei Neri”, lett. “Africa”. Il termine Kamite si riferisce anche a tutti i nativi e ai loro discendenti sparpagliatisi per il mondo nelle diaspore, oltre ai praticanti della religione originaria di questa regione.
(2) Gbégbé, danza tradizionale della Regione Bété, in Costa d’Avorio, usata nelle manifestazioni pubbliche di giubilo o di cordoglio.
(3) Bikoutsi, termine composto da a) Kout: “colpo” e b) Si, che identifica la Terra. Una danza Fan Beti originaria del Camerun meridionale, inizialmente praticata dalle donne per garantirsi le benedizioni da parte della Madre Terra (buoni raccolti, migliori condizioni meteo, ecc.) e durante la quale era necessario colpire vigorosamente il suolo affinché prestasse ascolto. Oggi, è stata recuperata dai giovani dell’intera regione e oltre, grazie a molte star internazionali.
(4) Glaé, sistema religioso delle popolazioni Wè e Wobè, originarie della zona occidentale della Costa d’Avorio, basate sulle “Maschere”. Un’intera gerarchia di maschere, dall’aspetto spesso terrificante, funge da fondamento a tutte le credenze e le organizzazioni sociali di queste popolazioni.
(5) Wabele, una delle maschere del sistema religioso Senufo, originario della parte settentrionale della Costa d’Avorio. Con la testa di iena mangiafuoco, rappresenta la conoscenza e il potere.
(6) Poniugo, altra maschera del sistema religioso Senufo, basato sulla Poro, il rito d’iniziazione nel cuore dei boschi sacri e che governa tutta la loro società.
(7) Kindack; lett. “Signora dei Consigli”, titolo conferito alle Matriarche, donne che hanno raggiunto un livello di saggezza attraverso l’iniziazione a Mbock o a Mbog, sistemi religiosi della Regione Bassa, nel Camerun centrale, e che corrisponde al titolo di Mbombock, riservato agli uomini.
(8) Kuban; ragazza di Biyong, figlio di Kuban. Questo è il nome di mia nonna, una delle ultime detentrici della conoscenza “KI-Yi Mbock”, da cui ho ricevuto l’incarico di trasmissione per il quale ho lavorato duramente per oltre tre decenni.
Were Were Liking
Traduzione a cura del Centro Italiano dell’International Institute of Theatre.
https://www.iti-worldwide.org/
Foto di Leonardo Cendamo