17.11.2022 – La Fondazione Biscozzi | Rimbaud a Lecce ospita la terza esposizione dalla sua nascita. L’evento, dedicato all’artista Grazia Varisco, rimarrà aperto fino all’8 gennaio.
La mostra è stata proposta dal direttore scientifico e curatore Paolo Bolpagni, e accolta con entusiasmo da Dominique Rimbaud, presidente della Fondazione.
Grazia Varisco è reduce dalla partecipazione alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale e da una recente mostra antologica presso il Palazzo Reale di Milano. L’evento leccese è una piccola ma preziosa mostra di diciassette opere, che coprono l’intero arco della sua carriera.
Le opere iniziali
Si parte da Tema e svolgimento (1957-1959), risalente al periodo di apprendistato all’Accademia di Brera. “Semplice e lieve – scrive Bolpagni nel suo saggio in catalogo – quasi à la manière de Paul Klee”. “Un rotolo di carta caduto e l’idea di trarre da un simile evento casuale lo spunto per un’interpretazione estetica”. L’opera rivela già la sensibilità percettiva della Varisco e il suo porsi in osservazione e “in ascolto” costante della realtà.
Nel 1959-1960 comincia l’avventura del cinetismo con il famoso Gruppo T nato a Milano. Varisco vi partecipa insieme a Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi. La loro poetica è incentrata sul concetto di miriorama, cioè la variazione dell’immagine nella sequenza temporale.
Nascono, così, le tavole magnetiche di Grazia Varisco, di cui in mostra sono presenti due esemplari. Si tratta di oggetti semplici, dalle forme regolari e geometriche. “Per Grazia Varisco – spiega Bolpagni – è anche un invito al gioco, ma la componente ludica, che pure è presente e importante, non esaurisce il significato di questi lavori, che implicano la partecipazione attiva dello spettatore e la moltiplicazione delle possibili configurazioni dell’opera stessa, che perde la sua aura di compiutezza definitiva”.
I lavori successivi di Grazia Varisco
Anche in riferimento alla stagione cinetica, ultima grande avanguardia europea, si trovano alcune opere dell’artista: Oggetto cinetico luminoso (1962), Variabile + Quadrionda 130, Scacchiera nera (1964), +Rossonero- (1968) e Oggetto ottico-cinetico (1968-1969). I primi due sono dotati di motore elettrico, e dunque di un movimento connaturato all’opera stessa. Qui la Varisco si basa sul concetto di frammentazione della luce, realizzata in diversi modi: “un’immagine – scrive Bolpagni – generata da configurazioni che appaiono e scompaiono alternatamente, prodotte dall’interferenza tra dischi rotanti nei quali sono intagliate trame che lasciano filtrare la luce suscitata dalla sorgente elettrica; oppure Reticoli frangibili e Mercuriali, costruiti con vetri industriali a rilievi regolari e superficie lenticolare, che cambiano, con il mutare della posizione dell’osservatore, la percezione di ciò che è contenuto nella scatola (schemi geometrici colorati o borchie di acciaio “fluidificate” dall’effetto di rifrazione, così da innescare un continuo spostamento del punto di vista, una situazione d’instabilità tipica dell’accadere della realtà”.
Conclusa l’esperienza del Gruppo T, Grazia Varisco prosegue il proprio percorso in autonomia, seguita da critici attenti come Ballo, Belloli e Dorfles. Nel 1966 realizza la sua prima mostra personale. Negli anni Settanta l’artista sperimenta la manipolazione libera della carta e del cartoncino e l’apertura programmatica all’azione perturbante del caso, mantenendo sempre al centro l’analisi dei meccanismi percettivi. Nascono serie fortunate come le Extrapagine e gli Extralibri: in mostra sono presenti quattro lavori come Meridiana 2 (1974), Extralibro (1975), Spazio potenziale (1976) e Extrapagina “Spartito musicale” (1977).
Nella seconda metà degli anni Ottanta, invece, crea il ciclo Fraktur, con l’osservazione degli angoli di raccordo tra due o tre piani ortogonali e uno studio delle soglie e delle disarticolazioni. In mostra sono visibili Implicazioni B (1986), Incastro giallo (1987) e Fraktur – Ferro 1 (1997). E poi, degli anni Duemila, Quadri comunicanti (2008) e Filo rosso (2009).
L’esposizione si chiude con Silenzi (2006), articolazione di piani e vuoti prodotta dalla sovrapposizione di semplici telai: un altro salto concettuale per interpretare il mondo di un’artista visionaria e ad alto tasso di creatività.
Cosimo Guarini