26.05.2016 – Giovani talenti e potenziali eccellenze di Puglia nel campo dell’architettura hanno vinto il 1° Premio nazionale “ARCo Giovani 2015″ per la tesi di laurea “Progetto di restauro del borgo medievale di Craco (MT)”, consegnato ai vincitori durante una cerimonia svoltasi a Roma, presso l’Università “La Sapienza”. I sei neo-architetti del Politecnico di Bari: Pietro Colonna (Altamura), Maria Antonietta Pepe (Fasano), Annamaria Santarcangelo (Novasiri), Agata D’Ercole (Andria), Claudia Bisceglia (Mattinata), Claudia Calitro (Andria) sotto la guida dei docenti del Politecnico: prof. Rossella de Cadilhac (coordinatrice), prof. Matteo Ieva, prof. Dora Foti, prof. Gabriele Rossi, ing. Michele Vitti, hanno elaborato un progetto di riqualificazione e restauro del paese di Craco in Basilicata, luogo ormai fantasma, a metà strada tra la costa jonica e l’appenino.
Il suo aspetto “ruderizzato” in tempi recenti ha catturato l’attenzione di un turismo colto e l’interesse del cinema d’autore, che ha più volte scelto la location confermandone la forte vocazione scenografica. Lo testimoniano alcune scene girate a Craco da Pasolini “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), Rosi “Cristo si è fermato ad Eboli” (1979), Gibson “La passione di Cristo” (2004) assieme ad altri autori, ultimo dei quali il regista lucano, Faretta con il film “Montedoro” (aprile 2016).
Il progetto vincitore prevede due ambiti di intervento: urbanistico e architettonico. Nel primo, viene previsto la realizzazione di un sistema di monitoraggio sull’andamento del fenomeno franoso; la realizzazione di opere di regimazione e smaltimento delle acque meteoriche; la sistemazione paesaggistica dei versanti con interventi di forestazione e piantumazione di vegetazione autoctona; il consolidamento del pendio franoso attraverso opere di contenimento del terreno, basate sull’uso di terrazzamenti realizzati in muretti di pietra a secco; la messa in sicurezza dei percorsi per favorire la fruizione del centro; il consolidamento e la protezione dei ruderi ai soli fini scenografici; la realizzazione di un albergo diffuso, che recuperi alcune unità abitative.
In ambito architettonico, invece, il progetto vincitore, prevede il restauro e la ri-funzionalizzazione di alcuni edifici scelti per la loro funzione rappresentativa presenti su un’area che offre buone garanzie di stabilità, quali la torre normanna, la chiesa madre di San Nicola, il palazzo nobiliare Grossi e di alcune unità abitative situate alla base della torre.
Il progetto, nel suo insieme, vuole promuovere l’attività di ricerca sui temi della difesa del suolo e del recupero edilizio in aree franose ma contestualmente anche contribuire a rivitalizzare, con una proposta concreta, la memoria storica di una comunità legata a fatti, relazioni, luoghi, segni tangibili.
Storicamente l’importanza di Craco si accrebbe con la dominazione normanna ma la sua vita iniziò molto prima sotto il nome di Montedoro, popolata da coloni greci, luogo strategico e di confine tra la cultura e i commerci della civiltà della Magna Grecia e le popolazioni indigene.
Da metà dell’anno mille, con la presenza dei Normanni nel sud Italia, Craco (da Grachium, campo arato o maggesato), comincia ad assumere i connotati attuali. Tutto nasce da lì, dal punto più alto del costone roccioso, dove viene eretta la Torre Normanna, con funzioni di difesa e di presidio del territorio. Il primo documento ufficiale che attesta il nucleo dell’abitato infatti, è una Bolla vescovile dei possedimenti del vescovo di Tricarico, datata 1060, mentre documenti del 1154 e del 1168 citano la Torre nelle sue funzioni. La Torre fa da chioccia di protezione e Craco di espande sotto le sue mura, più in basso. Nel 1266, viene riconosciuta come Universitas (il moderno Comune). Nuove costruzioni si aggiungono. Cresce la popolazione: nel 1561 raggiunge la ragguardevole cifra di 2.500 abitanti (massimo storico demografico). Nascono i primi Palazzi nobiliari e nel 1574 viene eretta la Chiesa matrice, dedicata a S. Nicola. Nel 1870, con 1900 abitanti, si registra la massima espansione comunale del centro abitato. E’ l’inizio della fine. Da questo momento si documentano le necessità per il consolidamento dell’abitato per la presenza di una importante frana. La delicata conformazione geologica del luogo che si affaccia sulla fossa bradanica, combinata all’azione antropica dell’uomo, con particolare riferimento al disboscamento e alla trasformazione del paesaggio, unita alla conformazione carsica del terreno e al deflusso delle acque meteoriche, che segnano il terreno con profondi solchi e innescano fenomeni di erosione, minano irrimediabilmente il destino di Craco.
Nel 1963, una nuova frana, obbliga le autorità ad una parziale evacuazione della popolazione. Al grave dissesto idrogeologico, si unisce, nel 1980, il terremoto nell’Italia meridionale che impone al resto della popolazione a trasferirsi in un centro urbano realizzato a 7 km a valle, denominato Peschiera di Craco.
L’abbandono dell’abitato, conduce ad uno stato avanzato di degrado, accelerato da una mancata manutenzione che, ancor più del movimento franoso, mina, oggi, la sopravvivenza del borgo stesso.