8.02.2021 – Il 21 gennaio, a 93 anni, ci ha lasciati Cecilia Mangini, la nostra prima osservatrice, la più grande di tutte. Non è facile costringere in una rigida tela sintattica un’anima libertaria come la sua che ha votato il suo intero vivere al coraggioso racconto della storia più bella di tutte: la vita nella sua nuda naturalità, attraverso gli occhi, i corpi ed il sentire di chi quella esistenza la affronta ogni giorno senza interpolazioni od orpelli del mondo moderno.
Quest’ansia irrefrenabile di verità e immediatezza l’ha condotta sulla via impervia della perenne sperimentazione allo scopo di frequentare, innovandola, ogni possibile strada del racconto visivo.
Nata a Mola di Bari il 31 luglio 1927 e poi trasferitasi in Toscana, Cecilia Mangini incontra l’arte ed il cinema già durante il fascismo. È al suo termine, però, che, incantata dai film di Vigo e Renoir, finalmente riesce a dare forma al suo splendido progetto maieutico dapprima attraverso la fotografia di strada, cui essa affida le prime pagine del suo viaggio nel reale, e poi con il cinema documentario, che diverrà negli anni a seguire la sua cifra esistenziale.
I temi che hanno contrassegnato la sua ricerca artistica guardano all’uomo nella piena consapevolezza del suo stare stare al mondo senza tralasciare la militanza politica e la condizione femminile, le grandi questioni etiche e le tradizioni etnografiche.
È proprio al mezzogiorno ed alla sua umanità verace e fiera che Cecilia Mangini dedica una parte importante della sua produzione realizzando fra gli altri Stendalì – Suonano ancora (1959) sulle tradizionali lamentazioni della Grecìa salentina, Maria e i giorni (1960), viaggio nella quotidianità di una anziana proprietaria di una masseria ed in seguito Brindisi ’65, affresco sull’arrivo delle fabbriche moderne in un mondo ancora legato alla vita contadina.
Nel 1967 invece realizza Tommaso, racconto di un frammento di vita di un giovane pugliese tra la speranza di un lavoro al petrolchimico di Brindisi ed il desiderio di una motocicletta.
Il viaggio di Cecilia Mangini nell’umanità vera e dimenticata si intreccia, una volta giunta a Roma, con l’interesse per gli ultimi e le periferie urbane di Pier Paolo Pasolini. Dall’incontro di due magnifici ed ineguagliati intellettuali prenderà forma “Ignoti alla città” (1958), suo debutto nel cortometraggio a colori, che traspone per immagini la quotidianità giovanile della borgata descritta da Pasolini nel romanzo Ragazzi di vita.
Nel 1962 il sodalizio artistico Mangini/Pasolini dà vita a quello che è ancora oggi considerato uno dei migliori documentari italiani, “Il Canto delle Marane” (1965), una durissima riflessione sulla difficile vita del sottoproletariato romano in una città in continua evoluzione che pare avviluppare chi fa fatica a seguirla. Attraverso intensi piani sequenza osserviamo l’estate di un gruppo di ragazzini distanti dalla modernità ma ricchi di sogni ed illusioni.
La stagione dei premi si apre per lei nel 1961 quando riceve il leone d’oro al Festival del cinema di Venezia per la sceneggiatura del film Fata Morgana che racconta con piglio ruvido e diretto il viaggio degli emigrati del sud alla volta di Milano nel treno chiamato allo stesso modo del film.
Cecilia Mangini è stata anche una formidabile militante, anarchica e mai allineata, che ha difeso e descritto la sua appartenenza politica attraverso due opere, realizzate con il marito Lino Del Fra, entrate a buon diritto nel novero delle migliori produzioni documentarie italiane: nel 1966, con la collaborazione di Lino Miccichè, presenta All’armi siam fascisti! durissima denuncia sulle radici e le connivenze del ventennio. Nel 1977, invece, conquista il pardo d’oro al Festival del cinema di Locarno con Antonio Gramsci- i giorni del carcere del quale cura soggetto, sceneggiatura e regia. La pellicola, che vede protagonista il barese Riccardo Cucciolla racconta la prigionia dell’intellettuale comunista nel carcere di Turi, ed i suoi rapporti con i familiari e i dirigenti del partito.
L’amore per la realtà di Cecilia Mangini è stata forte a tal punto che quando ella non ha avuto modo di esprimerla ha preferito restare in silenzio attendendo che tornasse di nuovo il tempo del documentario. E quel tempo per fortuna è arrivato nella seconda metà degli anni 2000 quando per ironia della sorte l’occhio ha cominciato a guardare a se stesso ed il documentario a raccontare il documentario così lei, audace e pioniera indagatrice della realtà novecentesca, varia e variegata, è divenuta il soggetto del racconto. Tanti i titoli usciti tra cui si ricordano “Non c’era nessuna signora a quel tavolo” (2010) di Davide Barletti e Lorenzo Conte o “In viaggio con Cecilia” (2013) di cui firma la co-regia con la pronipote Mariangela Barbanente.
Cecilia Mangini ha filmato come nessuna il vero nella sua spoglia nudità tracciando il sentiero per ogni cineasta presente e futuro perché il suo fare cinema, privo delle dissonanze del superfluo, ha elevato l’essenziale ad immediata e potentissima forma di comunicazione sancendo così che il reale basta se stesso.
Foto dalla pagina Cecilia Mangini
Silvestro Carlo Montrone