8.01.2020 – Nell’ambito della mini rassegna intitolata “Dal mito alla drammaturgia contemporanea” curata dall’Ass. culturale Il Vello d’Oro, il 15 dicembre scorso nel suggestivo spazio teatrale dell’Auditorium Diocesano Vallisa, in Bari, è stata rappresentata Fedra da “Ippolito” di Euripide.
Un riadattamento del testo della tragedia classica euripidea: l’originario “Ippolito” ha subito le incursioni letterarie della Fedra di Seneca per mano di Cristina Angiuli che, peraltro, oltre ad essere interprete nel complesso ruolo di Fedra ne ha firmato anche la regia.
Cristina Angiuli qualche giorno dopo ha acconsentito a una breve conversazione sulla stessa messa in scena e sulla sua vita artistica.
In scena con Fedra si sono alternati, rispettosi delle didascalie degli autori e dei sentimenti dei personaggi, Luca Amoruso nei panni di Ippolito, Michele Santomassimo in quelli di Teseo, Monica Angiuli in quelli dell’ancella e Lidia Cuccovillo in quelli di una coreuta.
La trama è nota: Afrodite, essendo gelosa del fatto che Ippolito, illibato, dedito alla caccia e ad una vita secondo natura, venerasse solo la dea Artemide, ha deciso di punire la sua tracotanza (hybris) e perciò fa invaghire di lui la sua matrigna, FEDRA, moglie di Teseo; l’amato Ippolito era nato invece dall’unione di Teseo con l’amazzone Ippolita. Fedra, infiammata dalla passione per Ippolito ne coinvolge la nutrice la quale nel cercare di fornirle cura e sostegno, finisce per svelare il segreto al figliastro Ippolito, infrangendo così la promessa fatta a Fedra. Ippolito, appresa l’inaspettata e riprovevole notizia, riconferma la sua invettiva contro matrigna e donne tutte. Fedra allora, tradita dalla nutrice e rifiutata dal figliastro, decide di suicidarsi per riservare l’onorabilità di Teseo e la sua governance. Ma il suo orgoglio cede il passo alla vendetta e così, scrive una lettera destinata a Teseo contenente una fake news: avrebbe deciso di suicidarsi per non violare l’onorabilità del regno di Teseo a causa della violenza sessuale che avrebbe subito ad opera del figliastro. Muore Fedra. Teseo, ricevuta la tavoletta, inveisce a sua volta contro il figlio che per tale orribile (inesistente) misfatto lo vorrebbe morto:lo stesso, però, perderà la vita non per mano del padre ma in maniera accidentale o, più precisamente, per volere divino. Teseo, pur avendo disprezzato il figlio, affranto dalla ulteriore tragica e triste notizia della sua morte, troverà consolazione solo grazie al lavoro della macchina divina azionata da Artemide che svelando la verità riporta ad equilibrio la psiche di Teseo ed il perdono al figlio Ippolito.
La scenografia è utilmente scarna ed i pochi elementi presenti, in particolare una statua classica a rappresentare ora la dea Afrodite, ora la dea Artemide, son d’effetto per l’ambientazione della tragedia. Così pure la proiezione animata dei medesimi personaggi sul telo bianco riesce a movimentare una messa in scena quasi plastica, mentre le note di regia ci svelano l’opzione della scelta per una rappresentazione in chiave classica; il lavoro reso, fedele con i costumi a tale scelta, sovente è tradito dalla modernità della rappresentazione finalizzata ad enucleare la passione di Fedra e l’incomunicabilità dei personaggi.
Le osservazioni che seguono circa la messa in scena provengono direttamente dalla regista Cristina Angiuli sollecitate nell’ambito della conversazione-intervista con i componenti del Laboratorio del Vento e della Carne curato dal regista Andrea Cramarossa della compagnia teatrale Teatro delle Bambole.
La conversazione-intervista costituisce uno degli aspetti in cui si articola l’originalissima pratica teatrale, probabilmente unica a livello regionale e nazionale, invalsa tra alcune compagnie teatrali locali e tra queste appunto Teatro delle Bambole e Vello d’Oro, consistente nella condivisione degli spettacoli delle rispettive compagnie attraverso la reciproca partecipazione dei propri attori e allievi-attori, e successivo incontro di approfondimento sul lavoro teatrale realizzato.
LAB. Perché il titolo “Fedra da Ippolito di Euripide” e non più semplicemente l’originale titolo“Ippolito”della tragedia greca euripidea?
Regista: Perché ho voluto mettere maggiormente in evidenza lei, Fedra, ma anche esaltare Teseo e Ippolito e la loro incomunicabilità.
Per quanto riguarda Fedra ho trovato un forte legame con il personaggio MATHILDE dell’omonima pièce di Véronique Olmi. Anche quest’ultima, scrittrice e moglie di un ginecologo, si innamora di un ragazzo di 14 anni e con lui consuma una relazione sentimentale; tale scelta sarà punita con la sua prigionia; più precisamente, sebbene, a differenza di Fedra, Mathilde abbia una relazione con l’amato, ho letto la nascita della passione in entrambe le donne come proveniente dallo stesso impeto di freschezza (Fedrà dirà, infatti, che il suo amato gli ricorda moltissimo Teseo da giovane!) e di libertà, nonostante la prima appartenga ad un’epoca a.C. e la seconda a quella contemporanea. Fedra si distanzia poi da Mathilde perché la passione amorosa non è corrisposta, ed anche perchè non vuol assolutamente essere vergogna per marito e figli. Fedra lotta e si dimena a causa del conflitto in essa generato dalla presenza di Eros e del sentimento della ragion di Stato”
Lab. Nelle note di regia leggiamo che lo spettacolo vuol mettere in evidenza l’incomunicabilità familiare e la diversità dei componenti all’interno della famiglia. Come ha lavorato per la messa in scena?
Regista. Primariamente ho deciso di rispettare le didascalie di Euripide e poi di utilizzare la diversità dei personaggi. Così Ippolito, ad esempio, è un uomo casto che non opera scelte e, nella sua singolare misoginia, trova posto solo la devozione per la dea Artemide; è come affetto da sindrome di Peter Pan: nel dialogo tragico con il padre dice infatti che non gli interessa essere sovrano; è avulso dalle dimensioni di vita umana, sociale, dinastica. La nutrice, invece, caratterizzata da forte pragmatismo, diventa anche ancella. Mentre nel dialogo che avrebbe dovuto essere di Fedra ed Ippolito, in realtà vi è l’intrusione tra di essi della nutrice e così via. I personaggi pur dialogando di fatto non comunicano.
Lab. Perché sia come regista che come attrice ha scelto di lavorare con i testi delle tragedie greche?
Regista. Ritengo che il teatro tragico greco sia caratterizzato da una incisiva componente ontologica, parla dell’uomo e come tale la tragedia rimane nel tempo infinito.
Lab. Qualche domanda più personale: qual è l’ambito da cui si sente maggiormente rappresentata nell’attività teatrale?
Regista. Se dovessi rinascere rifarei l’attrice: nasco come attrice ed è questo l’ambito che mi rappresenta di più. L’attrice ha il piacere di stare nella pelle di un altro. Vivere se stessi è difficile, ma lo è ancor più lasciando a secco il proprio io. L’attrice deve essere serva del personaggio. Sicuramente, Fedra, Medea, ecc., sono migliori di me ed ecco perché è importante andare a teatro perché ci aiuta a capire da dove veniamo e dove stiamo andando. Il lavoro dell’attore dove si colloca? Pensiamo ad una scacchiera dove tra il bianco e il nero (luce e buio) dei quadrati vi sono le fughe, orbene il percorso degli attori è proprio lì, sulle fughe.
Lab. Come e quando Cristina Angiuli ha iniziato il suo percorso artistico nel teatro?
Regista. Ho iniziato all’età di 11 anni con papà Luigi per proseguire quale operatrice culturale con Barbanente Vito Antonio, fondatore dell’Auditorium Nino Rota; nel 1985, costituita l’Accademia diretta dal geniale e compianto Maestro Orazio Costa, ho avuto il privilegio di frequentarne il triennio formativo in un’esperienza unica e, purtroppo, non più riproposta a discapito della preparazione delle successive generazioni di attori. L’attività teatrale è proseguita con l’Ass. culturale Compagnia teratrale Il Vello d’oro fondata nel 1994 da mio padre Luigi Angiuli.
Lab. Che ne pensa di questa prassi virtuosa di partecipazione in qualità di spettatori da parte degli attori e degli allievi/attori alla visione di spettacoli di altre compagnie teatrali?
Regista. La trovo una iniziativa molto bella perché nonostante spesso i lavori teatrali delle compagnie, come accade per quelli miei e di Andrea Cramarossa del Teatro delle Bambole, siano molto diversi tra di loro, non solo consentono il dialogo, ma addirittura lo sollecitano.
Un sentito ringraziamento a Cristina Angiuli e al Lab. Tetarle del Vento e della Carne diretto da Andrea Cramarossa per aver contribuito, con la forma dell’intervista, a questo breve, ma intenso confronto sulle qualità dell’uomo da Euripide ai nostri giorni: ora come allora perché di umanità si tratta!
Emilia Brescia
Componenti del Laboratorio del Vento e della Carne