27.07.2021 – Dal 16 luglio è disponibile su Netflix, A Classic horror story, ultima fatica cinematografica del regista pugliese Roberto de Feo (The Nest), qui affiancato alla regia ed in scrittura dall’amico Paolo Strippoli.
Un racconto immaginifico e favolistico che sussume in se i più classici stilemi del cinema d’angoscia per trarne una moderna rielaborazione di genere a metà tra cinefilo citazionismo e nuove suggestioni orrorifiche.
L’espediente narrativo che dà l’avvio alla vicenda, il viaggio, è di per se già un omaggio al cinema ed ad uno dei suoi topoi più tradizionali: cinque carpooler a bordo di un camper percorrono la strada alla volta di una destinazione sconosciuta cui non giungeranno mai.
Durante la notte, infatti, la carcassa di un animale sulla carreggiata costringe il mezzo ad una rovinosa manovra che renderà inevitabile lo schianto contro un albero. Riavutisi i cinque protagonisti si troveranno in un altrove boschivo ed inquietante da cui si intravede una misteriosa casa di legno.
Ben presto si renderanno conto che niente di rassicurante dimora in quel luogo e che nessuna certezza li assiste.
De Feo e Strippoli giocano sapientemente con tutti gli artifici più tradizionali del genere, dalle nenie di stridente ed agghiacciante dolcezza(Endrigo e Paoli perfettamente in parte) al contesto bucolico inquieto ed esoterico per creare un prodotto interessante che riesce a risultare credibile e moderno pur senza avere guizzi particolari.
A Classic horror story è dunque canonico nei suoi rimandi (Wes Crawen e Sam Raimi in testa) ma molto irregolare e moderno nel suo storytelling (che ricorda la cifra spiazzante e personalissima di Ari Aster in Midsommar).
Il susseguirsi vorticoso di coupes de théâtre rende la visione affatto convenzionale costringendo lo spettatore a seguire attento lo svolgersi degli eventi in un crescendo di angoscia tormentosa destinato a durare ben oltre la visione.
L’universo oscuro ed visionario cui i registi si rifanno, nonostante il respiro senza dubbio internazionale del film, pesca a piene mani nella nostra iconografia del terrore richiamando l’epica deviata del fenomeno criminale e la sua mitologia più arcaica.
Al pari l’elemento ambientale, la splendida foresta umbra ed in parte il paesaggio calabro, diviene silente ed asfissiante in una perfetta sintesi tra la nuda natura ed i più oscuri recessi pagani forieri di timori ancestrali ed indicibili.
Un viaggio in controluce tra le ombre ed il buio che ricorda quello terribile di Hansel e Gretel e che avviluppa in un incubo arcano e sospeso di cui non è dato conoscere nè iniziò nè fine.
Più in profondità, almeno nel sottotesto autoriale, un modo larvato di porre in discussione l’imperante pornografia del dolore e la spettacolarizzazione dell’efferatezza elevata a sublime e macabra cifra estetizzante del contemporaneo.
A Classic horror story, prodotto da Apulia Film Commission e giustamente premiato per la miglior regia all’ultimo Taormina Film Festival, è un prodotto atipico per il cinema italiano che apre una breccia nella nostra asfittica cinematografia spesso in debito di idee e dimostra che una new wave di autori coraggiosi e sperimentali(come i fratelli D’Innocenzo) è già all’opera e che il nostro schermo è più ricco e vivo che mai.
Silvestro Carlo Montrone