27.11.2018 – Luca Pipitone ha raccontato nel suo libro Papao, edito da Gilgamesh, un viaggio verso una terra lontana lontana, nota a molti, diciamolo pure, soprattutto per il cartone animato: parliamo del Madagascar!

Un viaggio che Luca e Cecilia hanno fatto per diventare famiglia, per trovare il proprio figlio, il piccolo Matteo e per accogliere se stessi come genitori.

Mamma, papà e figlio che con molta fatica si cercano, con molto dolore si vogliono e,  per una misteriosa magia, fatta di fede, di coraggio, di desiderio, di passione si abbracciano in una felicità che tutto trasforma, con non pochi risvolti buffi, aneddoti da ricordare nel tempo.

Papao si fa davvero “divorare” ed entra nel cuore, per la storia, per la narrazione e per i tanti spunti di riflessione che lascia nel lettore, conditi anche da stralci di canzoni, di poesia, di letteratura, di vita vissuta.

Lasciamo che sia lo stesso autore a raccontarsi in questa intervista che ci ha gentilmente concesso. Il nostro, il mio consiglio è di leggere Papao e di farvi avvolgere anche voi da Luca, Cecilia e da Matteo.

Papao non è solo la storia della “nascita” di Matteo nella vostra famiglia ma è una testimonianza di coraggio e di profonda fede: ”Il Signore non ci deluderà, andiamo, partiamo!”. Oggi è difficile avere una tale fede, fidarsi e affidarsi…eppure voi siete partiti per il Madagascar nella consapevolezza di avere dalla vostra una forza grande. C’è stato un momento di maggiore debolezza in questa forza che vi accompagnava?

Un romanzo di Chaim Potok, uno scrittore ebreo americano per me molto prezioso, si apre con una frase illuminante: “gli inizi sono sempre difficili”; ecco, per noi il momento più critico è stato il primo istante: quando abbiamo deciso di intraprendere il percorso dell’adozione, e abbiamo firmato i primi moduli in tribunale a Perugia, incerti e spaesati come forse mai in vita nostra. Poi abbiamo incontrato tante altre difficoltà, specialmente nei 3 mesi trascorsi in Madagascar: dagli inconvenienti più prosaici e – solo a posteriori – quasi comici (lo smarrimento dei bagagli o l’invasione delle cavallette) alle esperienze più dolorose e traumatiche (la fatica di inventare un linguaggio comune tra noi due genitori e Matteo, soprattutto); nel romanzo cerco di mostrare come in questa nostra fragilità la fede a cui accenni nella tua domanda non ci abbia reso più forti ma, paradossalmente, più vulnerabili: al fascino e allo stupore del dono che ci veniva incontro giorno dopo giorno. Quanto alla “testimonianza di coraggio”, non mi riconosco nell’idea diffusa dell’adozione come atto di speciale audacia e generosità: senza scomodare miti donchisciotteschi di eroismo e spirito di sacrificio, noi abbiamo semplicemente dato spazio a un desiderio di vita e bellezza, che ci ha portato fino a nostro figlio Matteo. E ci ha richiesto, in fondo, lo stesso coraggio e la stessa follia che portano due genitori biologici a dare la vita al proprio figlio.

Nella biografia riportata sul libro si legge: ”Questo romanzo è soprattutto per loro”, Matteo e Cecilia ovviamente. Perché hai deciso di scrivere la vostra “avventura”?

Perché tutti viviamo di storie, che raccontando il mondo che ci circonda lo rendono nostro, umano, e perciò vivibile: i soli fatti, spogliati delle parole, sono muti ed equivoci, ovvero inconsistenti o sconcertanti. E siccome la vicenda del nostro incontro con Matteo è – anche – una storia di solitudini e abbandoni, ingiustizie e ferite, ho cercato di affidarla alla custodia delle parole, nella speranza che queste conservino una traccia luminosa della meraviglia e della benedizione di quei mesi: delle nostre radici, e perciò anche delle nostre prospettive. Per questo il romanzo è prima di tutto per Matteo e Cecilia, e per me: per alimentare il senso della memoria e dell’identità della nostra famiglia. Per Matteo, inoltre, si tratta anche di trasmettergli il racconto di eventi di cui non può aver memoria (aveva 2 anni); e, siccome ancora non è in grado di leggere un libro del genere, un paio d’anni fa Cecilia e io abbiamo realizzato per lui un libro illustrato in cui gli raccontiamo questa storia attraverso immagini e didascalie: un racconto vero e fiabesco al tempo stesso (pubblicato poi da Tau editrice, con il titolo C’era una volta in Madagascar).

In Papao c’è tutto di te, aneddoti, passioni, amore, famiglia, fede (anche quella calcistica!), il tuo lavoro, la letteratura, la musica. Luca racconta il suo cammino verso Matteo, in realtà Luca sembra raccontare Luca, come se tuo figlio avesse, con una speciale chiave, aperto una porta chiusa. Ti ritrovi in questa mia sensazione?

Sì, mi riconosco in questa analogia della chiave e della porta chiusa. Un grande e sottovalutato scrittore contemporaneo, Giovanni Testori, usava un’immagine simile a proposito del battesimo: finché non si riscopre la propria fede, scriveva, si vive come in una casa nella quale ci sia un bambino prigioniero in un sottoscala. Era un poeta dal linguaggio visionario e penetrante, Testori, quasi violento. Ma, traslandola, credo che la sua metafora si possa applicare all’esperienza di chiunque si arrischi ad amare un altro da sé: una chiave apre la porta di quel sottoscala interiore, e libera un bambino, una vita nuova e insospettata, un nuovo sé infinitamente più fragile ma anche più ricco e vitale. Questo per me si è realizzato ad esempio nel matrimonio o, in misura naturalmente minore, nella relazione con i miei alunni; e, appunto, nell’incontro con Matteo. Raccontargli tanto di me è stato anche un tentativo di condividere con lui qualcosa di questo tesoro che proprio Matteo, con il suo arrivo, mi ha aiutato a scoprire.

Il Madagascar ti ha donato Matteo, tu cosa hai lasciato di te in questo paese che molti ricordano solo per l’omonimo cartone animato?

Non ho lasciato nulla in Madagascar, perché in fondo non l’ho mai lasciato. È per me, come per mia moglie, una seconda patria, un luogo dell’anima che continuiamo ad abitare. Più concretamente, oltre a dialogare assiduamente via Messenger con Olga e Aimé (i nostri ospiti durante in 3 mesi di permanenza in Madagascar, ovvero i primi nonni di Matteo), collaboriamo con un’onlus (“Maison des Enfants”) che opera nella capitale Antananarivo per il sostegno alle famiglie e ai bambini, in contesti di gravissimo disagio socio-economico.

Lo rifaresti vero? Se ti guardi indietro rifaresti tutto ugualmente nonostante le cavallette, la gastroenterite, di Cecilia e Matteo,  il tuo eritema, i taxi, le strade dissestate, la polvere, le quasi nulle comodità?

Appena conclusi i 3 mesi in Madagascar ho pensato: “mai più”. Come una mamma appena uscita dalla sala parto. Pochi mesi dopo, Cecilia e io abbiamo intrapreso il cammino verso la seconda adozione: la memoria dei dolori della sala parto è indelebile, ma il sogno di generare ancora vita è più attraente, e irresistibile. Certo, le nostre gravidanze sono più lunghe (aspettiamo ormai da 2 anni e mezzo), ma il meccanismo da cui scaturisce la scelta – miracolo e mistero – è lo stesso.

“Sono padre, sono il papà di Matteo, e mi sembra impossibile che io abbia potuto essere altro, pensare di essere stato o di diventare mai altro. Eccolo, finalmente il mio contratto a tempo indeterminato, full-time, per tutta la vita: chi l’ha detto che c’è la crisi?”

Questa frase mi è rimasta nel cuore, però siamo pratici, la crisi c’è, il lavoro è precario, la vita costa…eppure…Scriveresti tu la fine di questa intervista?

È vero, c’è la crisi. Mia moglie e io, lavorando nella scuola, abbiamo attraversato lunghi periodi di precariato, e ancora oggi non abbiamo certo garanzie di particolare stabilità e benessere economico: quando abbiamo inviato in Madagascar il dossier con i documenti per la prima adozione eravamo entrambi disoccupati. L’adozione internazionale, inoltre, è molto costosa (e lo Stato non sostiene le famiglie, se non in minima parte). Eppure… C’è un legame prodigioso e tenace che unisce una coppia di aspiranti genitori adottivi e un bambino abbandonato dall’altra parte del mondo; e questo è più forte delle paure e della crisi economica: accende speranze e creatività, regala laboriosità, audacia ed energie; smuove le coscienze e sollecita la solidarietà della comunità, se serve, aprendo cuori e portafogli (è stato anche il nostro caso, evidentemente). La vita di un bambino, di una famiglia, vale tutto questo.

Grazie Luca da tutti noi di Puglia Eccellente.

Biografia

Luca Pipitone è nato a Perugia nel 1983. Insegna Lettere al liceo. Dottore di ricerca in Italianistica, ha pubblicato saggi in rivista e opere miscellanee. È sposato con Cecilia dal 2008, e padre di Matteo dal 2014. Questo romanzo è, anzitutto, per loro.

Titolo: Papao
Autore: Luca Pipitone
Edizioni: Gilgamesh
Prezzo: € 15

https://gilgameshedizioni.com/

Foto di Luca Pipitone

Manuela Bellomo